IL MILIONE – SUZZARA

L’archeologia racconta: curiosità longobardiche

Lo scorso 16 dicembre abbiamo incontrato l’archeologa Monica Lupparelli che, in diretta online da Foligno (Perugia), ci ha illustrato la storia della civiltà longobarda partendo da una citazione personale: “raccontare la storia attraverso gli oggetti”.
Siamo generalmente abituati a pensare che i Longobardi fossero semplicemente una popolazione germanica tra le più violente, troppo spesso considerati rozzi e sanguinari mentre Monica Lupparelli ci ha invece guidato verso un’altra riflessione storica.
Il viaggio che l’archeologa ci ha descritto con immagini e spiegazioni ci ha rivelato che da un semplice oggetto di metallo, ritrovato per caso in una tomba, si può raccontare un’intera civiltà. E proprio da una necropoli inizia il nostro cammino.
Sembra macabro scavare nelle tombe ma forse non tutti sanno che spesso all’interno delle fosse longobarde si trovano oggetti e reperti che dicono tutto del sepolto, della sua vita, delle sue attività, del suo valore e del suo ruolo nella società.
Società che appare diversa da quello che si è sempre pensato.
Nel 568 d.C. re Alboino guida la prima ondata di Longobardi attraverso le Alpi friulane: la violenza dei centomila uomini scesi in territorio italiano, sotto il comando del sanguinario sovrano, diventa subito leggendaria.
Alboino passerà alla storia anche per la crudeltà rivolta alla moglie Rosmunda, rapita, costretta al matrimonio e obbligata al brindisi col teschio del padre invece del calice nuziale.
La civiltà longobarda non prevedeva una distinzione tra cittadini e soldati, ovvero gli uomini liberi rivestivano entrambi i ruoli ed in base alla loro ricchezza si potevano permettere armi meglio forgiate, più resistenti e preziose; quindi il guerriero nobile era il più avvantaggiato nell’armamento e il più temuto in battaglia.
Alla morte il soldato veniva sepolto con tutti gli oggetti e le armi che possedeva in vita per poter proseguire le sue guerre nell’aldilà ma, per gli archeologi, questa è una grande occasione per studiare l’abilità militare dei Longobardi.
La spada era di notevoli dimensioni, tra i 90 e i 100 cm di lunghezza, con una lama a doppio taglio e la punta arrotondata; questo perché non la si usava per infilzare il nemico ma si brandiva a mo’ di ascia. Lo scudo era in legno rivestito in cuoio con una parte centrale di metallo pregiato e decorata in oro. La parte centrale della protezione era quella più sensibile ai colpi e quindi il metallo era più adatto alla difesa.
Tra le armi ritrovate spicca lo scramasax, una specie di coltello con un solo filo di taglio, tipico proprio dei guerrieri longobardi.
Un altro oggetto molto significativo era la cintola, un’alta cintura di corda o di pelle, decorata con lingue in oro massiccio e che spesso viene tramandata di padre in figlio proprio come definizione della famiglia di appartenenza.
Monica Lupparelli ci ha mostrato alcune immagini delle sepolture e in alcune di queste ci ha fatto notare la presenza di uno scheletro animale: il cavallo del guerriero!
Infatti il destriero, alla morte del suo cavaliere, veniva sacrificato e sepolto insieme a lui a volte intero, a volte senza testa! ma ancora oggi non si conosce il motivo delle decapitazioni equine!
Ma non solo il cavallo subiva questo triste destino: anche i cani potevano essere tumulati insieme al soldato. Perchè? perché i cani erano addestrati alla caccia e quindi l’abilità venatoria era considerata alla pari delle capacità guerriere. Un abile cacciatore era anche un valoroso soldato e viceversa!
Il nostro viaggio archeologico nelle tombe longobarde ci ha mostrato la sepoltura di un bambino molto piccolo, probabilmente morto a cinque o sei anni, ma tumulato insieme alle armi di un adulto; probabilmente i suoi parenti volevano che nell’aldilà sapessero da quale importante famiglia discendeva e quale impavido combattente sarebbe diventato.
Questa sepoltura è stata rinvenuta a Mantova, in via Rubens, dietro a piazza Pallone nel complesso di Palazzo Ducale.
E le donne? che ruolo avevano nella società longobarda?
Le donne erano dedite alla gestione della famiglia, alla crescita dei figli e alla cura del taglio dei capelli. Il rito del taglio dei capelli del soldato era molto importante nella famiglia e nella comunità.
Infatti i reperti archeologici sepolcrali ci mostrano donne con lunghi abiti e una cintola impreziosita da fibule (spille) e… cesoie (forbici) di grosse dimensioni. Nelle sepolture femminili sono state ritrovate anche ceramiche di pregevole manifattura sicuramente utilizzate nei banchetti.
Il cibo come status symbol era un punto determinante per la famiglia all’interno delle tribù: gli ospiti potevano apprezzare le portate e il lusso delle vettovaglie e constatare la ricchezza e l’importanza dei padroni di casa. Ancora oggi, quando ci sono ospiti a casa, tiriamo fuori il “servizio buono” e prepariamo i piatti più prelibati per mostrare il nostro lato migliore.
Le famiglie longobarde vivevano in piccoli villaggi costituiti da capanne coniche di non grandi dimensioni, interrate di quasi mezzo metro, con un grosso focolare al centro che serviva ovviamente per scaldare e cucinare ma anche per mantenere secche “affumicate” le sterpaglie del tetto e impedirne il deterioramento per umidità e muffe. Al centro del villaggio ci poteva essere una capanna più grande, di forma rettangolare, dove viveva la famiglia capostipite o il re e che in parte serviva anche come magazzino della tribù, per conservare il cibo, gli attrezzi o alcune armi.
I villaggi spesso venivano costruiti sulle rovine dei borghi romani proprio per un discorso di continuità; quindi non possiamo parlare di distruzione longobarda bensì di ricostruzione.

Torniamo ad osservare le necropoli (dal greco necros, morti e polis, città) per scoprire alcune curiosità.
I Longobardi seppellivano i loro defunti in un unico territorio, in fosse scavate e contrassegnate da una pertica (nome di origine longobarda che significa paletto) per le famiglie “normali” oppure coperte da una specie di casetta per le famiglie più nobili o importanti. Se ci riflettiamo un attimo, anche i nostri cimiteri moderni hanno alcune tombe a terra, contrassegnate da una lapide, oppure alcune casette, chiamate cappelle, di famiglia.
All’interno delle sepolture sono stati ritrovati dei veli bianchi, sudari, posti sui volti dei defunti. Spesso su questi veli era cucita una crocetta d’oro massiccio che per noi oggi rappresenta un reperto molto importante per lo studio del culto dei morti e quindi della società longobarda.
Il sudario bianco ricorda qualcosa? sembra che proprio da questa usanza di coprire il volto col velo bianco abbia origine il “nostro” fantasma nascosto da un lenzuolo!

Alla fine di questa interessante lezione abbiamo capito che dobbiamo molto alle popolazioni longobarde, spesso maltrattate nei libri di storia.
Da loro derivano alcune tradizioni famigliari come la cura dei defunti.
Ma anche le tecniche orafe e di lavorazione dei metalli.
Inoltre molte parole di origine longobarde vengono usate ancora oggi quotidianamente come alcune parti del corpo: guancia, anca, schiena, milza (…); oppure parole come stamberga, balcone, scaffale, zuffa, sguattero e verbi come russare, schernire (…). Ai Longobardi, abili cavalieri, dobbiamo anche l’invenzione della staffa come oggetto e come vocabolo.
I Longobardi, che così si autodefinirono – dalla lunga barba – per distinguersi da altre popolazioni germaniche, meriterebbero maggiori approfondimenti magari ancora insieme all’archeologa Monica Lupparelli che ringraziamo per la disponibilità e la simpatia!

Classe 1^C